di Filomena Baratto
Vico Equense - Nel passato, almeno spero sia relegato solo al passato, gli alunni erano soliti scrivere alla lavagna i buoni e i cattivi. Non era una loro iniziativa, ma un modo semplice e sembrava “educativo” nel capire chi si comportava bene e chi no. Oggi, al solo pensiero di vedere un alunno scrivere una cosa del genere alla lavagna, viene da star male, anche se credo che qualcosa accada ancora in tal senso. Questo perché il confine tra buono e cattivo è così sottile e impercettibile, che sarebbe oltremodo impossibile definire in categorie nette le due parti. Definiamo buone persone di sani principi e sentimenti e ovviamente capaci di buone azioni, rispettose, attente, educate. Allo stesso modo definiamo cattivi coloro che hanno pensieri e comportamenti reprensibili. Tra le due categorie non c’è possibilità di equivoco, entrambe ben definite e chiare. Non così nella realtà. Quello che oggi scandalizza è avere di fronte una “brava” persona e ritrovarsela poi cattiva in qualche azione. Non esistono buoni e cattivi. Ci sono persone che alternativamente possono essere ora buone, ora cattive in base agli eventi, alla propria psicologia, alle proprie reazioni nel tempo. I ragazzi che hanno inferto colpi feroci ai genitori, lasciano tutti nell’incredulità di come possa accadere una cosa del genere. Eppure è accaduta. Così come la mamma che ha cercato di uccidere la figlia somministrandole sonnifero nel biberon. Eppure quella scritta alla lavagna di buoni e cattivi forse non era poi così male da interpretare se mi chiariva di nome e di fatto chi era veramente buono e chi invece proprio non ci riusciva.
Oggi siamo confusi e ognuno può essere un potenziale cattivo in un agnellino o comportarsi da buono e sentirsi un lupo dentro. Eppure nella fiaba di Cappuccetto Rosso, la bambina per prima, che dovrebbe essere buona, trasgredisce agli ordini della mamma e attraversa il bosco, mentre il lupo si camuffa da amicone per abbindolare la piccola e ingannarla. “Il fine giustifica i mezzi” sta diventato, forse, il nostro pane quotidiano? Forse! Siamo tutti di machiavellica discendenza? Allora come spieghiamo queste metamorfosi repentine che accadono dentro di noi e portano ad azioni nefande? In una lettura per bambini è stata decretata una “classaccia” quella formata dai personaggi cattivi delle storie, come la strega invidiosa, il lupo cattivo, le sorellastre di Cenerentola, la matrigna… Per contro la classetta, quella formata da Cenerentola, da Cappuccetto Rosso, da Biancaneve, i tre porcellini… personaggi delle stesse fiabe suddivisi in buoni e cattivi. Analizzando i personaggi cattivi vediamo che tutti mancano di qualcosa, a volte per la loro natura, altre per le situazioni, altre ancora per forze sconosciute. Eppure Genoveffa, sorellastra di Cenerentola, se avesse incontrato il suo principe, non avrebbe avuto nulla da invidiare. Allo stesso modo la strega di Biancaneve vedendosi ancora bella e non il rudere che era diventata, non avrebbe avuto nulla da invidiare alla giovane. Come dire che i sentimenti cattivi nascono nell’animo dei buoni allo stesso modo dei sentimenti buoni che possono albergare nei cattivi. Il fatto è che siamo fatti di male e di bene, due forze che vanno educate invece di lasciarle pascolare alla meglio nella nostra giungla interiore, sperando che la coscienza possa risolvere la querelle. La coscienza non ce la fa, ha bisogno di aiuto, di capire, di imparare e di gestire i sentimenti. L’educazione in tal senso è necessaria per dirimere le nostre confusioni interne. Educare ai sentimenti significa sperimentarli, provarli, capirli fino in fondo, conoscerli in prima persona. Sin dalla tenera età ci si deve abituare, capire cosa accade quando una situazione ci fa soffrire o cosa evitare per non star male. Educarsi sembra una parola svuotata del suo senso, ma il suo contenuto è questo. Dobbiamo portare fuori da noi stessi ogni cosa e analizzarla. Scuola e famiglia hanno un grande impegno in questa direzione. Ma non basta! Si sperimenta leggendo. Leggendo di tutto, libri, giornali, storie, racconti, romanzi, almanacchi…la lettura è la sperimentazione interiore di quello che potremmo vivere e provare anche solo immaginando e proiettando le nostre azioni. E’ una lenta acquisizione che ci fa riflettere, ci fa approfondire, ci fa analizzare. Le emozioni sono le stesse, sia quelle prodotte nelle fantasia che nella realtà. Sia la vita reale che quella fantasiosa ci offrono la stessa sferzante vitalità. La comunicazione ai fini dell’educazione è importante e spesso è carente o inesistente. Se mai conoscerò a fondo la mia indole, se mai nessuno mi farà capire cosa ho di buono in me, se mai tirerò fuori quello che di meglio mi ritrovo, mai capirò chi sono e dove vado. Le grandi tragedie di oggi sono i risultati di una mancanza di attenzione al mondo interiore ancor di più nell’era dell’immagine, che ci vuole esteti ma non conoscitori di noi stessi. Quando ragazzi come quelli di Ferrara arrivano a fatti così raccapriccianti, è una battaglia persa soprattutto in famiglia dove la comunicazione molto evidentemente non c’è mai stata o impostata su traballanti terreni. Si perde dove le parole non hanno più valore, dove non si è formato il sentire, dove non si sono sperimentate emozioni, ma soprattutto non si sono seminati sentimenti. La famiglia oggi è perdente, non rappresenta più il luogo dell’accoglienza, che prima ancora che per lo straniero, dobbiamo averla tra noi. Accogliere significa impegnarmi per quella persona, prendermene cura e carico, farle sperimentare che non è un peso nemmeno quando non ascolta e non si confà ai miei voleri. Accogliere significa abbracciare le difficoltà dell’altro e rendergli tutto più piccolo, sminuzzargli, come a un neonato, le situazioni della vita. Un adolescente ha bisogno di tempi suoi e fasi che possono essere anche lunghissime, ma talvolta sono trattati come trentenni, si fa loro discorsi di adulti che sempre più rappresentano il modello da adottare ed emulare subito. Se poi il mondo adulto si presenta ai giovani con le sue tante realtà, altrettanto ingarbugliate, allora la confusione è totale. Tradurre la morte come lo strumento per ottenere qualcosa e non avvertire la gravità dell’azione è come credere che la vita sia tutta un gioco.
Vico Equense - Nel passato, almeno spero sia relegato solo al passato, gli alunni erano soliti scrivere alla lavagna i buoni e i cattivi. Non era una loro iniziativa, ma un modo semplice e sembrava “educativo” nel capire chi si comportava bene e chi no. Oggi, al solo pensiero di vedere un alunno scrivere una cosa del genere alla lavagna, viene da star male, anche se credo che qualcosa accada ancora in tal senso. Questo perché il confine tra buono e cattivo è così sottile e impercettibile, che sarebbe oltremodo impossibile definire in categorie nette le due parti. Definiamo buone persone di sani principi e sentimenti e ovviamente capaci di buone azioni, rispettose, attente, educate. Allo stesso modo definiamo cattivi coloro che hanno pensieri e comportamenti reprensibili. Tra le due categorie non c’è possibilità di equivoco, entrambe ben definite e chiare. Non così nella realtà. Quello che oggi scandalizza è avere di fronte una “brava” persona e ritrovarsela poi cattiva in qualche azione. Non esistono buoni e cattivi. Ci sono persone che alternativamente possono essere ora buone, ora cattive in base agli eventi, alla propria psicologia, alle proprie reazioni nel tempo. I ragazzi che hanno inferto colpi feroci ai genitori, lasciano tutti nell’incredulità di come possa accadere una cosa del genere. Eppure è accaduta. Così come la mamma che ha cercato di uccidere la figlia somministrandole sonnifero nel biberon. Eppure quella scritta alla lavagna di buoni e cattivi forse non era poi così male da interpretare se mi chiariva di nome e di fatto chi era veramente buono e chi invece proprio non ci riusciva.
Oggi siamo confusi e ognuno può essere un potenziale cattivo in un agnellino o comportarsi da buono e sentirsi un lupo dentro. Eppure nella fiaba di Cappuccetto Rosso, la bambina per prima, che dovrebbe essere buona, trasgredisce agli ordini della mamma e attraversa il bosco, mentre il lupo si camuffa da amicone per abbindolare la piccola e ingannarla. “Il fine giustifica i mezzi” sta diventato, forse, il nostro pane quotidiano? Forse! Siamo tutti di machiavellica discendenza? Allora come spieghiamo queste metamorfosi repentine che accadono dentro di noi e portano ad azioni nefande? In una lettura per bambini è stata decretata una “classaccia” quella formata dai personaggi cattivi delle storie, come la strega invidiosa, il lupo cattivo, le sorellastre di Cenerentola, la matrigna… Per contro la classetta, quella formata da Cenerentola, da Cappuccetto Rosso, da Biancaneve, i tre porcellini… personaggi delle stesse fiabe suddivisi in buoni e cattivi. Analizzando i personaggi cattivi vediamo che tutti mancano di qualcosa, a volte per la loro natura, altre per le situazioni, altre ancora per forze sconosciute. Eppure Genoveffa, sorellastra di Cenerentola, se avesse incontrato il suo principe, non avrebbe avuto nulla da invidiare. Allo stesso modo la strega di Biancaneve vedendosi ancora bella e non il rudere che era diventata, non avrebbe avuto nulla da invidiare alla giovane. Come dire che i sentimenti cattivi nascono nell’animo dei buoni allo stesso modo dei sentimenti buoni che possono albergare nei cattivi. Il fatto è che siamo fatti di male e di bene, due forze che vanno educate invece di lasciarle pascolare alla meglio nella nostra giungla interiore, sperando che la coscienza possa risolvere la querelle. La coscienza non ce la fa, ha bisogno di aiuto, di capire, di imparare e di gestire i sentimenti. L’educazione in tal senso è necessaria per dirimere le nostre confusioni interne. Educare ai sentimenti significa sperimentarli, provarli, capirli fino in fondo, conoscerli in prima persona. Sin dalla tenera età ci si deve abituare, capire cosa accade quando una situazione ci fa soffrire o cosa evitare per non star male. Educarsi sembra una parola svuotata del suo senso, ma il suo contenuto è questo. Dobbiamo portare fuori da noi stessi ogni cosa e analizzarla. Scuola e famiglia hanno un grande impegno in questa direzione. Ma non basta! Si sperimenta leggendo. Leggendo di tutto, libri, giornali, storie, racconti, romanzi, almanacchi…la lettura è la sperimentazione interiore di quello che potremmo vivere e provare anche solo immaginando e proiettando le nostre azioni. E’ una lenta acquisizione che ci fa riflettere, ci fa approfondire, ci fa analizzare. Le emozioni sono le stesse, sia quelle prodotte nelle fantasia che nella realtà. Sia la vita reale che quella fantasiosa ci offrono la stessa sferzante vitalità. La comunicazione ai fini dell’educazione è importante e spesso è carente o inesistente. Se mai conoscerò a fondo la mia indole, se mai nessuno mi farà capire cosa ho di buono in me, se mai tirerò fuori quello che di meglio mi ritrovo, mai capirò chi sono e dove vado. Le grandi tragedie di oggi sono i risultati di una mancanza di attenzione al mondo interiore ancor di più nell’era dell’immagine, che ci vuole esteti ma non conoscitori di noi stessi. Quando ragazzi come quelli di Ferrara arrivano a fatti così raccapriccianti, è una battaglia persa soprattutto in famiglia dove la comunicazione molto evidentemente non c’è mai stata o impostata su traballanti terreni. Si perde dove le parole non hanno più valore, dove non si è formato il sentire, dove non si sono sperimentate emozioni, ma soprattutto non si sono seminati sentimenti. La famiglia oggi è perdente, non rappresenta più il luogo dell’accoglienza, che prima ancora che per lo straniero, dobbiamo averla tra noi. Accogliere significa impegnarmi per quella persona, prendermene cura e carico, farle sperimentare che non è un peso nemmeno quando non ascolta e non si confà ai miei voleri. Accogliere significa abbracciare le difficoltà dell’altro e rendergli tutto più piccolo, sminuzzargli, come a un neonato, le situazioni della vita. Un adolescente ha bisogno di tempi suoi e fasi che possono essere anche lunghissime, ma talvolta sono trattati come trentenni, si fa loro discorsi di adulti che sempre più rappresentano il modello da adottare ed emulare subito. Se poi il mondo adulto si presenta ai giovani con le sue tante realtà, altrettanto ingarbugliate, allora la confusione è totale. Tradurre la morte come lo strumento per ottenere qualcosa e non avvertire la gravità dell’azione è come credere che la vita sia tutta un gioco.