filosofia e sociologia del dopoguerra.
Uno studio approfondito dei manifesti dimostrerà il lento e progressivo calo della carica trasgressiva, dovuto non tanto a una diminuzione dei programmi eversivi, quanto all'aggancio di questi programmi alle forze politiche, cioè al fascismo. Se è vero che ogni opera d'arte ha in sé una forza «politica», questa forza sussiste fin quando non entra nel determinismo di una prassi politica particolare; la confusione dei due fatti squisitamente diversi ha nociuto parecchio al futurismo.
A questo piatto forte del convito futurista diamo come contorno l'intelligente libretto di Claudia Salaris, Le futuriste. Donne e letteratura d' avanguardia in Italia(1909-1944), Edizioni delle donne (pagg. 266, lire 12.000). Come si vede, il percorso cronologico è lo stesso, copre l'identico arco di tempo dei manifesti; la Salaris ci dà un'antologia di testi preceduti da cappelli esplicativi ben fatti e illuminanti nei riguardi dei successivi brani antologici. Alla lettura però ci si accorge che questo volumetto è addirittura complementare alla grande impresa. Un esempio: se là il primo manifesto è quello di Marinetti, uscito nel Figaro del 20 febbraio 1909 e ristampato nella rivista “Poesia” (manifesto in cui al n. 9 si dichiara le mépris de la femme, «il disprezzo della donna»), la Salaris apre l'antologia con Madame Aurel, che nello stesso numero di “Poesia” pubblicò il simpatico e ironico manifesto personale Propos des femmes.
Certo le donne, come ben documenta la Salaris, non ebbero vita facile a quell'epoca, in quanto si sovraimprimevano ad esse due immagini entrambe potenti e nocive, anche se contraddittorie: da un lato quella della donna istintiva, priva di doti intellettuali, «fatto di natura» (cfr. Moebius, gli aforismi di Kraus ecc.); dall'altro quella della donna ideale, dell'Eterno Feniminino, saldamente codificata dal petrarchismo al romanticismo, a D'Annunzio. Tuttavia Marinetti corresse la rozzezza e quasi brutalità di alcune affermazioni sul «valore animale» della donna, accogliendo nella rassegna internazionale di “Poesia” molte donne, futuriste e no, fra cui quella Elda Giannelli cui si deve proprio una teorizzazione in poesia del versoliberismo. Il libro della Salaris è importante in quanto la studiosa non si limita alle solite firme femminili illustri dell'epoca (Valentine de Saint-Point, Benedetta), ma scava e recupera le firme di secondo piano, le «minori»; e ben si sa che sono i «minori» a costituire in ogni epoca il tessuto connettivo della letteratura, quello che Manganelli chiama «il thè delle cinque».
Se la prima poetessa futurista italiana è la naive Manetta Angelini, il primo coagulo di futuriste si ha nel 1916 sulla rivista fiorentina “L'Italia futurista”; ecco Maria Ginanni bella anche, il che non guasta, che avrà un seguito di imitatrici e scriverà: «Ho per capelli dei fulmini». Ecco scatenarsi la polemica contro il marinettiano manuale Come si seducono le donne: ohimè!, varie futuriste a buon diritto protestano e fra esse brilla per argomenti contestatari Rosa Rosà. Ma ben altri sono in genere i discorsi delle futuriste, che affrontano il problema del voto alle donne, quello sessuale e l'altro della cooperazione sociale e culturale con l'uomo; oppure si arrabbiano, come Elda Norchi (Futurluce): attenzione, le convenzioni crollano, sono finiti i tempi delle «donne-bambole», ora «sono balzate fuori le donne-operaie, donne-tranviere, donne-carrettiere, donne-spazzine» e via di seguito per molte righe infiammate di un certo sagace furore.
Negli Anni Venti le futuriste tornano anch'esse più strettamente all'universo letterario: Aurelia Del Re, Alzira Braga, Benedetta e le rappresentanti dell'aeropoesia, sovreccitate come i colleghi maschi dal toposdella macchina, della velocità, da nuove parole in libertà. Forse poetessa può dirsi Benedetta, col suo assillo di «perforare l'Ignoto», di guardare «i curvi respiri verdi del suolo». La Salaris fa da ottima guida attraverso una terra in parte sconosciuta, dove ci si incontra con l'ardore di vita e di intelletto di alcune protagoniste del femminismo, si assiste a una danza voluttuosa di princìpi e di parole, alla grande utopia di un mondo senza catene e soprattutto senza sciocchezze.
“la Repubblica”, ritaglio senza data, ma 1982