Nel sito che fu di Pino Ferraris ed ora ne tiene viva la memoria (http://ift.tt/2cSNIVj) è oggi presente un saggio che lo studioso militante scrisse per ha scritto per L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, uscito qualche anno fa per Jaca Book. Il titolo, già un'interpretazione, è Raniero Panzieri: una critica da sinistra dello stalinismo per un socialismo della democrazia diretta. Credo che si tratti di un'interpretazione capace di superare i limiti di unilateralità presenti in molte letture, quelle che di Panzieri esaltano l'intellettuale sul politico e il dissidente sul dirigente o quelle che tendono a ricondurlo nell'alveo della sinistra socialista “morandiana”, negandone le peculiarità. Il brano di sintesi che qui propongo conclude il capitolo introduttivo. (S.L.L.)
Forse occorre rifuggire da queste polarizzazioni se si vuole ricostruire un profilo di Panzieri il più possibile aderente alla complessità e alla singolarità del suo percorso politico e culturale.
L’itinerario di una militanza precocemente bruciata nella intensità del fare e del pensare corre lungo profonde fratture storiche: le speranze e le attese degli anni immediatamente successivi alla Liberazione, la sconfitta e il gelo del tempo della Guerra fredda, il «dopo Stalin» politico coincidente con la grande trasformazione della società italiana proiettata verso il «miracolo economico», i nuovi fermenti operai e giovanili degli anni Sessanta, l’irrimediabile e crescente distacco tra le macchine politiche e le dinamiche sociali.
All’interno di queste vicende storiche l’inquieta ricerca di Panzieri era rivolta a trovare una sintonia viva e precisa tra i mutamenti sociali e i ritmi della politica. Era il suo un ininterrotto «ricominciare da capo» senza però perdere il «filo rosso» che regge il senso profondo del proprio modo di vivere l’impegno civile e sociale.
Un «filo rosso» che accompagna tutta la vicenda umana di Panzieri è la ricerca continua di uno stringente rapporto tra impegno intellettuale e coinvolgimento pratico.
Si potrebbe ricordare la sua attività giovanile presso l’Istituto di studi socialisti di Morandi nel 1946 cui segue immediatamente il lavoro politico in periferia, a Bari, a fianco di Ernesto De Martino; la breve esperienza accademica a Messina che viene interrotta in nome dell’impegno diretto dentro l’aspra conflittualità e le difficoltà politiche del contesto siciliano.
Il periodo della direzione di «Mondo operaio», quando si produce una nuova situazione politica (crisi del centrismo e crisi comunista) in coincidenza con l’emergere del «neocapitalismo», si caratterizza per lo sforzo di tradurre immediatamente l’intelligenza della realtà in proposta politica e iniziativa sociale. Gli anni torinesi sono segnati invece dalla drammatica tensione tra anticipazione teorica e perdita degli strumenti dell’azione pratica.
Il secondo motivo ricorrente nella esperienza di Panzieri consiste nella sua concezione del socialismo come liberazione delle capacità di autogoverno delle forze sociali.
Dal suo modo di concepire il Fronte popolare nel 1948 non come «problema di schieramento politico» ma come «movimento spontaneo» innervato negli organi di lotta e di autogoverno dei lavoratori (i consigli di gestione, i comitati della terra, il comune democratico), sino all’ultima sua proposta dell’inchiesta socialista, passando per le tesi sul controllo operaio, costante è la sua ostinata resistenza al principio di delega. La democrazia diretta è la stella polare del suo socialismo anti-statalista.